lunedì 15 novembre 2010

Norvegia.



La Norvegia è sicuramente il paradiso della natura, la sua conformazione, la sua posizione, il numero non elevato e la civiltà dei suoi abitanti, tutto contribuisce a renderla uno dei paradisi naturalistici. Questo è sicuramente uno dei motivi che spinge a visitarla, l’altro è appunto legato alla sua conformazione, con i fiordi che la fanno da padrone e ti portano ad avere una strana sensazione quando sai, che pur essendo sul mare, il mare aperto è anche a 200 chilometri e inoltre pochi minuti prima stavi osservando un paesaggio montano con laghetti contornati, anche ad agosto, da neve perenne. Altro motivo che spinge una certa categoria di viaggiatori, soprattutto chi vi arriva con mezzi propri, è la possibilità di superare il circolo polare artico ed arrivare a Capo Nord, quello che è considerato il punto più a nord d’Europa separato solo da un paio di migliaia di chilometri d’acqua dai ghiacci eterni del polo nord.
Indubbiamente un paese dal fascino irresistibile per tutti ma soprattutto per noi che veniamo dal sud d’Europa e che per arrivare lì dobbiamo guidare per 4000-6000 chilometri ed attraversare quattro nazioni Austria o Svizzera, Germania, Danimarca e Svezia.
La Norvegia uguale natura quindi, ma anche cultura e sport in un paese a misura d’uomo abitato da uno dei popoli più civili ed anche accoglienti a dispetto dei luoghi comuni sulla freddezza delle genti del nord. Una vacanza che vi stupirà qualunque soluzione di viaggio avrete scelto; il nostro consiglio però è quello di attraversare la Norvegia in camper (l’alternativa è l’auto anche se non da le stesse possibilità di libertà di percorso e di orari), quando tornerete potrete mostrare ai vostri amici le classiche foto sotto la stele che segna il circolo polare artico, con la relativa latitudine o davanti al monumento di Capo Nord e se siete dei veri amanti della fotografia dei fiordi dal colore d’oro al tramonto o dei paesaggi montani con le cime innevate che si specchiano nei laghetti. Ma quello che non potrete mostrare sono le sensazioni che proverete quando vi troverete davanti a questi spettacoli della natura da soli senza una automobile o una abitazione all’orizzonte con un tramonto che inizia alle dieci di sera per completarsi dopo le undici, o vi troverete a passeggiare per una città sempre dopo le dieci con il sole alto nel cielo. Ma la sensazione unica e irripetibile (se si va in camper e ci si può alternare alla guida e sempre nel periodo estivo delle ventiquattro ore di luce) è quella che avrete se decidete di viaggiare di notte nell’ultimo tratto quello prima di Capo Nord; in un paesaggio brullo e ondulato senza nessuna abitazione per centinaia di chilometri alle tre di notte con gli occhiali da sole per proteggervi dalla forte luminosità, gli unici esseri viventi che incontrerete saranno …. delle renne.

venerdì 8 ottobre 2010

Trinidad


Sono passati più di venti anni, ma sicuramente Trinidad non sarà cambiata, almeno nell’architettura se non nello spirito. Questa piccola città posta nel centro della lunga isola di Cuba a pochi chilometri dallo splendido mar dei Caraibi, è una delle meglio conservate e più interessanti città coloniali di tutta l’America centrale. Di solito è la meta di una fugace visita per gruppi turistici di passaggio, che dopo una rapida passeggiata per il centro proseguono verso un’altra meta. Eppure questa cittadina merita una permanenza più lunga per respirarne l’atmosfera e per approfittare di un mare ancora integro.
Giungemmo a Trinidad da Varadero, una lunga penisola con non molti hotel e in pratica nessun locale escluso “la cueva del pirata”, e decidemmo di fermarci alcuni giorni pernottando a Playa De Ancon, una spiaggia lunga diversi chilometri con due soli alberghi, anche se uno dei due mastodontico per l’architettura locale, distante non molti chilometri dalla città.
Avendo a disposizione un mese ci potevamo permettere di visitare le varie località di Cuba con calma, quindi decidemmo di alternare la visita della città con stupendi bagni nel mare cristallino. Eravamo giunti nell’isola caraibica già da una decina di giorni e avevamo fatto conoscenza della scarsa organizzazione e dell’eccessiva burocratizzazione della vita cubana, ma il secondo giorno che ci trovavamo a Trinidad toccammo il fondo.
Avevamo deciso di passare la serata in città per tornare poi al nostro albergo a Playa De Ancon distante 15 chilometri circa, cenammo in un ristorante dove per farci capire fummo costretti ad accompagnare il cuoco in cucina e mostrare quello che volevamo, una bistecca, poi dopo cena ci rendemmo conto che la “vita” in città era praticamente nulla e quindi ci recammo alla stazione centrale dei pullman dove c’era la possibilità di trovare un taxi. Premettiamo che erano le 22 circa quindi un orario umano. La prima cosa che apprendemmo fu che ogni taxi faceva servizio per una determinata località, in un secondo momento dopo aver aspettato a lungo scoprimmo che il servizio per Playa De Ancon era terminato, nonostante numerosi tentativi e supplicando vari tassisti fermi da ore di accompagnarci al nostro albergo tutto si dimostrò inutile, così come il tentativo del gestore di un bar che attaccatosi al telefono con un non meglio imprecisato ufficio cercò invano di far arrivare un altro taxi. Verso le tre di notte ormai stanchi e depressi seduti nella sala d’aspetto della stazione dei pullman semi addormentati in uno degli ormai rari tentativi riuscimmo a convincere una tassista a portarci in hotel. Naturalmente nei giorni successivi andammo a Trinidad solo di mattina.
Dopo cinque giorni di permanenza un pomeriggio ci dettero lo sfratto dalle stanze che occupavamo perché era arrivata una comitiva di turisti tedeschi, quindi in fretta e furia facemmo i bagagli per trasferirci all’altro hotel, di categoria più bassa, poco distante. Ma nonostante i contrattempi, il soggiorno in questo piccolo centro fu molto interessante. La struttura coloniale con i vecchi edifici dai colori pastello con le verande in legno, le strutture protettive delle grandi finestre in legno o in ferro lavorate aristicamente, la cantina dove si potevano ascoltare anziani musicisti (Ray Cooder era ancora lontano dall’addivenire) che eseguivano vecchi brani ormai celeberrimi o pezzi più recenti della nuova trova (la musica cubana), le escursioni in motoscafo ad isole deserte dalle spiagge bianchissime e dalla barriera corallina ricca di pesci multicolori (cayo Blanco a mezz’ora di motoscafo da playa De Ancon è la più vicina delle isole) dove mangiare aragoste appena pescate e cotte alla griglia (attenzione a non esagerare per chi ama gli alcolici con l’ottimo ron cubano), tutto faceva di questo soggiorno un momento indimenticabile e irrinunciabile di una vacanza a Cuba.
Ora a distanza di dieci anni come sarà questa zona, dopo l’aggressione turistica e le frotte dei vacanzieri che ormai invadono la più grande delle isole dei Caraibi? Ho il timore che Trinidad oramai non sia più la stessa; l’unica speranza è che il turismo selvaggio l’abbia solo sfiorata, considerandola una meta di passaggio, lasciandola integra nella struttura e nell’animo.

venerdì 24 settembre 2010

Viaggio a Capo Nord in camper. Prefazione.


Questo che pubblichiamo a puntate è il diario di un viaggio a Capo Nord, viaggio effettuato quando ancora non c’era il collegamento terrestre tra la Danimarca e la Svezia che ha reso un po’ più rapido questo lunghissimo itinerario di circa tredicimila chilometri con partenza e ritorno a Roma. I protagonisti di quest’esperienza sono stati due giovani coppie senza nessuna esperienza di camperismo e un camper in pratica nuovo alla partenza, meno alla fine del viaggio.
I quattro ragazzi durante il viaggio si sono assegnati un nome di battaglia che li identificherà nel diario. La stesura principale è di Rintintin (così chiamato per l’abilità nell’imitare i cani), gli altri interventi sono di Il Vecchio (ma non era il più anziano), di Trottolina (per il gran da farsi in cucina?), non è mai intervenuta la quarta protagonista Mangia e Dormi (mangiando e dormendo in continuazione non ha avuto il tempo di scrivere niente).
La grandiosità del viaggio: attraversare sette nazioni (Italia, Austria, Germania, Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia), per un totale di tredicimila chilometri in 28 giorni, la bellezza dei posti visitati, le difficoltà logistiche e di convivenza, sono descritte con una vena ironica che speriamo rendano gradevole e interessante la lettura di questo resoconto di viaggio.

giovedì 23 settembre 2010

La medina di Fez


La prima premessa da fare è per correggere l’errore che comunemente si fa: la "medina" non è altro che quella che noi chiamiamo erroneamente Kasba, in pratica la parte vecchia della città. Cadiamo in quest’errore per via dei vecchi film che mitizzavano la Kasba, soprattutto quella di Algeri, che è in effetti il castello o la fortezza di una città araba; ebbene la Medina di Fez è unica, forse la più grande e interessante di tutto il Nord dell’Africa.
Fez è una delle quattro città imperiali del Marocco, sicuramente non è tra le più conosciute, molti non l’avranno mai sentita nominare prima di aver incominciato a leggere qualcosa sul Marocco; magari tutti conosciamo, spesso per via dei film Hollywoodiani: Casablanca, Tangeri, Marrakech, senza sapere nemmeno dell’esistenza di questa città. Eppure Fez è considerata la Firenze del Marocco per l’arte che la contraddistingue, tra l’altro è stata riconosciuta dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Sono moltissimi i progetti e i lavori già in corso per ristrutturare e salvaguardare edifici e zone di questa città da parte della stessa Unesco e d’altri organismi internazionali. Considerando che la quasi totalità di questi edifici storici sono all’interno della Medina possiamo già incominciare a capirne l’importanza.

La Medina è il centro, è il fulcro, è la tradizione, è la storia, è la vita, è il cuore pulsante della città; migliaia di stradine strette alcune volte strettissime dove a fatica passano due persone affiancate, qualche piccola piazza, nessun mezzo a motore, solo asini e muli usati per il trasporto di qualunque cosa, dalla frutta ai mattoni per finire con la nettezza urbana. Vie costellate di negozietti e laboratori artigiani dove si lavorano legni metalli e stoffe per arrivare a prodotti finiti spesso di buon livello artigianale ed in alcuni casi ad oggetti di squisita fattura. Ogni via è caratterizzata da un unico tipo di negozi, con i venditori che cercano di capire di che nazionalità sei, parlano in pratica tutte le principali lingue europee, per invitarti ad entrare a guardare gli oggetti esposti. Alcune volte ti offrono da bere, c’è sempre un ragazzino pronto a correre a prendere un te’ alla menta o una bibita fresca e poi se uno decide di acquistare qualcosa inizia il lungo rito della trattativa; i prezzi sono sempre un’incognita alcune volte sono solo raddoppiati rispetto al vero valore dell’oggetto altre triplicati, quadruplicati, pentuplicati e anche di più, tutti in ogni modo torneranno a casa con numerosi acquisti che potranno essere ordinari ricordini oppure piatti finemente cesellati fino a tappeti in seta annodati a mano dall’indubbio valore economico e artistico.
Vie dove è piacevole guardare e camminare anche se alcune volte sono talmente ingombre di gente che si stenta a muoversi inglobati dal fiume di persone che s’interseca nelle due direzioni e d’improvviso un grido alto "belek, belek" ti indica che un mulo viene nella tua direzione e non ti resta che appiattirti contro il muro per cedergli il passo. Negozi e negozi, ma non solo: ristorantini, bar e anche moschee e mederse (scuole coraniche) spesso edifici storici dalla notevole importanza artistica.
Camminando può capitare di tutto, per esempio di sentire un coro di bambini e seguendo quelle voci arrivare ad un piccolo squallido locale buio di pochi metri quadrati in cui si entra attraverso una porta non più alta di un metro e trenta, dove seduti per terra una dozzina di bambini canta guidati da una giovane ragazza, poco più di una bambina. E nel momento in cui ti affacci tutti i visini si volgono verso di te in una miriade di sorrisi che ti aprono il cuore ma ti fanno male perché ti rendi conto in quale condizione di povertà e di disagio devono vivere questi bambini.
Meta imperdibile della Medina è il quartiere dei tintori, facilmente riconoscibile dall’inconfondibile odore nauseabondo, di solito viene offerto un ramoscello di menta per mitigare il puzzo, dovuto alla lavorazione delle pelli. Indimenticabile il colpo d’occhio dall’alto sulle vasche piene di liquidi multicolori dove vengono immerse le pelli per la tintura e poi i tetti terrazzati delle case tutt’intorno dove le stesse sono messe ad asciugare.

Unico neo della Medina, ma dovuto proprio alla sua struttura, il fatto che si può visitare solo con una guida e nel caso di un gruppo con più accompagnatori, perché essendo le vie migliaia e senza nessuna indicazione è praticamente impossibile orientarsi quindi solo uno del posto può accompagnarvi e guidarvi nella visita senza il rischio di perdersi.
Esperienza unica e indimenticabile la visita di una Medina, ogni città ne ha una, ma soprattutto di quella di Fez veramente la più caratteristica ed integra del Nord dell’Africa. Naturalmente bisogna avere lo spirito del viaggiatore, la curiosità di conoscere e capire la vita e i costumi degli altri popoli e non lasciarsi intimorire dalle difficoltà o dai contrattempi che una tale visita può avere, ma del resto chi decide di andare in Marocco cosa si aspetta, giardini curati, pulizia e gente precisa a passeggio, allora è meglio che vada in vacanza in Svizzera. Un’ultima annotazione riguarda la gente, sempre ospitale e tranquilla, certo il ladruncolo esiste e bisogna tenere gli occhi aperti; ma del resto nei luoghi affollati delle nostre città non si corre il rischio del borseggio? Ma a parte questo gli stereotipi, dovuti spesso al nostro modo di vedere gli extra comunitari che vivono nel nostro paese , qui vengono presto dimenticati. Questa è gente povera ma dignitosa che abita un paese stupendo, gente che nel caso delle donne diventa a sua volta motivo di meraviglia e di folklore dovuto ai vestiti dai colori sgargianti indossati soprattutto nelle medine e nei piccoli centri. Insomma un Marocco ancestrale, un Marocco immutato nei secoli che solo nella medina si può trovare; tornati nella parte nuova della città vedremo grandi alberghi, vie larghissime, auto e vestiti occidentali e la città somiglierà molto ad una delle nostre. A distanza di mesi nei nostri salotti riguardando le foto non potremo non ricordare quei momenti e desiderare di tornare di nuovo nella splendida unica Medina di fez.

giovedì 9 settembre 2010

Chichen Itza


Chichen Itza è il più interessante sito archeologico della penisola dello Yucatan e, in assoluto, uno dei più importanti di tutto il centro America. Il viaggio per giungervi dalla costa è molto comodo: si percorre un’ottima autostrada che, partendo da Cancun, arriva nelle vicinanze del complesso archeologico. La regione è in pratica un’immensa pianura ricoperta da una fitta vegetazione in gran parte non esplorata. Si calcola, infatti, che siano migliaia i resti degli edifici precolombiani nascosti nel fitto degli alberi, della quale si ha una visione notevole dalla piramide di Kukulcan, l’edificio principale e il più famoso del complesso di Chichen Itza. Le costruzioni Maya restaurate sono diverse e tutte interessanti e si ergono su zone disboscate dove l’erbetta, di un verde chiaro, contrasta con il verde cupo della foresta. Come già accennato, la grande piramide di Kukulcan (El Castillio per gli spagnoli) è l’edificio più importante e sorge al limite della grande spianata che racchiude i più importanti monumenti: piramide a gradoni con un tempietto in cima e, unico caso per le costruzioni precolombiane, una camera interna raggiungibile attraverso uno stretto corridoio, dove troviamo un giaguaro di giada dipinto di rosso. Le quattro scale che salgono sui lati della piramide sono composte da 91 gradini per un totale, comprendendo l’ultimo che da accesso al tempietto, di 365 che dimostra il livello raggiunto nello studio dell’astronomia dal popolo Maya, fatto confermato anche da uno dei fenomeni più spettacolari, dovuto all’angolazione della piramide rispetto alla posizione del sole, che si verifica il 21 marzo e il 21 settembre, rispettivamente sostilzi di primavera e d’autunno. In questi due giorni migliaia di persone arrivano da tutto il mondo per assistere a questo fenomeno: ad una certo punto il sole incomincia ad illuminare la gradinata e, piano piano, si allunga verso il basso come se la discendesse fino ad illuminare, per ultima, la base della scalinata e cioè la testa di un serpente di roccia che rappresenta, nell’immaginario Maya, la fecondazione della terra. Altri punti interessanti del complesso sono: l’osservatorio di forma circolare inusuale per l’epoca, il tempio di Ciac, dio della pioggia e, soprattutto, il campo del gioco della palla. Il terreno di gioco è formato da un ampio terreno pianeggiante, di forma rettangolare, delimitato lungo i due lati principali da due muri di notevole altezza. Nella parte centrale, uno di fronte all’altro, all’altezza di circa otto metri da terra, sorgono due cerchi di pietra forati nel centro dove doveva passare la palla, del peso di diversi chilogrammi, usando le braccia e i fianchi ma non le mani. I giocatori, che usavano delle pesanti imbottiture protettive, erano divisi in due squadre con un capitano che aveva il compito di far passare la palla attraverso il foro; le partite, di solito lunghissime, avevano un tragico epilogo: secondo la versione ufficiale la squadra perdente veniva trucidata, stando invece all’ipotesi fatta da alcuni studiosi, erano invece i perdenti ad essere giustiziati perché chi veniva ucciso andava direttamente a confronto con gli dei e questo era un onore, quindi era un premio che giustamente poteva essere riservato ai vincenti e non a chi aveva perso. Un basamento in rilievo rappresenta proprio il capitano di una squadra che taglia la testa dell’avversario, un’immagine molto cruenta con il sangue che sgorga dal collo reciso in ampi spruzzi che si trasformano in altrettanti serpenti.
Spettacolare e suggestivo è lo spettacolo di luci e suoni che tutte le sere viene effettuato nella piana centrale; comodamente seduti con la piramide di Kukulkan di fronte, il campo per il gioco della palla a destra e il tempio delle mille colonne a sinistra che vengono illuminati di vari colori, ascoltando un commento storico accompagnato da un abile sottofondo musicale, si assiste al fenomeno che avviene nei giorni dei solstizi con i gradini che si illuminano uno ad uno fino a concludere con la testa del serpente.